Tancredi, che Clorinda un uomo stima, Vol ne l'armi provarla al paragone. Va girando colei l'alpestre cima Ver altra porta ove d'entrar dispone. Segue egli impetuoso onde assai prima Che giunga in guisa avvien che d'armi suone, Ch'ella si volge e grida: “O tu, che porte Correndo sì?” Rispose: “E guerra e morte.” “Guerra e mort'havrai,” disse. “Io non rifiuto Darlati se la cerchi,” e fermo attende. Nè vol Tancredi, ch'ebbe a piè veduto Il suo nemico, usar cavallo, e scende, E impugna l'uno e l'altro il ferro acuto Ed aguzza l'orgoglio e l'ira accende. E vansi incontro a passi tardi e lenti Quai due tori gelosi e d'ira ardenti. (Sinfonia) Notte, che nel profondo oscuro seno Chiudesti e nell'oblio fatto sì grande, Degno d'un chiaro sol, degno d'un pieno Teatro opre sarian sì memorande, Piacciati ch'indi il tragga e'n bel sereno Alle future età lo spieghi e mande Viva la fama lor e tra lor gloria Splenda del fosco tuo l'alta memoria. Non schivar, non parar, non pur ritrarsi Voglion costor nè qui destrezza ha parte. Non danno i colpi hor finti hor pieni hor scarsi; Toglie l'ombra e'l furor l'uso dell'arte. Odi le spade orribilimente urtarsi A mezzo il ferro e'l piè d'orma non parte. Sempre il piè fermo e la man sempre in moto, Nè scende taglio in van nè punta a voto. L'onta irrita lo sdegno alla vendetta E la vendetta poi l'onta rinnova, Onde sempre al ferir, sempre alla fretta Stimol novo s'aggiunge e piaga nova. D'hor in hor più si mesce e più ristretta Si fa la pugna e spada oprar non giova; Dansi coi pomi e infelloniti e crudi, Cozzan con gli elmi insieme e con gli scudi. Tre volte il cavalier la donna stringe Con le robuste braccia ed altre tante, Poi da quei nodi tenaci ella si scinge, Nodi di fier nemico e non d'amante. Tornano al ferro e l'un e l'altro il tinge Di molto sangue, e stanco ed anelante E questi e quegli alfin pur si ritira E dopo lungo faticar respira. L'un l'altro guarda e del suo corpo esangue Sul pomo della spada appoggia il peso. Già de l'ultima stella il raggio langue Sul primo albor ch'è in oriente acceso. Vede Tancredi in maggior copia il sangue Del suo nemico e sè non tanto offeso. Ne gode e insuperbisce. O nostra folle Mente ch'ogni aura di fortuna estolle! Misero, di che godi? O quanti mesti Fiano i trionfi ed infelice il vanto! Gli occhi tuoi pagheran, s'in vita resti, Di quel sangue ogni stilla un mar di pianto. Così tacendo e rimandando questi Sanguinosi guerrier cessaro alquanto. Ruppe il silenzio alfin Tancredi e disse, Perchè il suo nome l'un l'altro scoprisse: “Nostra sventura è ben che qui s'impieghi Tanto valor dove silenzio il copra. Ma poi che sorte ria vien che ci nieghi E lode e testimon degni de l'opra, Pregoti, se fra l'armi han loco i prieghi, Che'l tuo nome e'l tuo stato a me tu scopra, Acciò ch'io sappia, o vinto o vincitore, Chi la mia morte o la mia vita honore.” Rispose la feroce: “Indarno chiedi Quel ch'ho per uso di non far palese, Ma, chiunque io mi sia, tu innanzi vedi Un di quei duo che la gran torre accese.” Arse di sdegno a quel parlar Tancredi E “In mal punto il dicesti,” [indi riprese, “E'l tuo dir e'l tacer di par m'alletta, Barbaro discortese, alla vendetta.” Torna l'ira nei cori e li trasporta Benche deboli in guerra a fiera pugna U'l'arte in bando, u'già la forza è morta Ove invece d'entrami il furor pugna! Oh che sanguigna e spaziosa porta Fa l'una e l'altra spada ovunque giugna Nell'armi e nelle carni! e se la vita Non esce, sdegno tienla al petto unita. Ma ecco homai l'hora fatal è giunta Che'l viver di Clorinda al suo fin deve. Spinge egli il ferro nel bel sen di punta Che vi s'immerge e'l sangue avido beve, E la veste che, d'or vago trapunta, Le mammelle stringea tenere e lieve, L'empie d'un caldo fiume. Ella già sente Morirsi e'l piè le manca egro e languente. Segue egli la vittoria, e la traffitta Vergine minacciando incalza e preme. Ella, mentre cadea, la voce afflitta Movendo, disse le parole estreme, Parole ch'a lei novo spirto ditta, Spirto di fè, di carità, di speme, Virtù che Dio l'infonde, e se rubella In vita fu, la vol in morte ancella. “Amico, hai vinto. Io ti perdon, perdona Tu ancora—al corpo no, che nulla pave— All'alma sì. Deh per lei prega e dona Battesmo a me, ch'ogni mia colpa lave.” In queste voci languide risuona Un non so che di flebile e soave Ch'al cor gli scende ed ogni sdegno ammorza E gli occhi a lagrimar l'invoglia e sforza. Poco quindi lontan, ne sen del monte, Scaturia mormorando un picciol rio. Egli v'accorse e l'elmo empiè nel fonte, E tornò mesto al grande ufficio e pio. Tremar sentì la man mentre la fronte Non conosciuta ancor sciolse e scoprio. La vide e la conobbe e restò senza E voce e moto. Ahi vista! ahi conoscenza! Non morì già che sue virtuti accolse Tutte in quel punto e in guardia al cor le E premendo il suo affanno a dar si volse Vita con l'acqua a chi col ferro uccise. Mentre egli il suon de'sacri detti sciolse, Colei di gioia trasmutossi e rise, E in atto di morir lieta e vivace Dir parea: “S'apre il ciel, io vado in pace.”